Il D.M. 16 gennaio 2017 ha contribuito al rinnovo di molti accordi territoriali e, di conseguenza, ad un aumento del ricorso al canone concordato. Milano e hinterland tra le poche eccezioni.
Dopo quattro anni dalla riforma dal D.M. Infrastrutture e Trasportì 16 gennaio 2017, a che punto è il ricorso ai contratti di affitto a canone concordato nel nostro paese? Se lo è chiesto l’Ufficio Studi SoloAffitti, che ha analizzato quanto siano diffusi i contratti di locazione 3+2, a studenti universitari fuori sede e transitori in 61 province del paese.
La situazione è decisamente migliorata negli ultimi anni, con moltissime zone in cui ormai la maggioranza dei contratti si attiene ai valori di canone previsti negli accordi territoriali, ma anche alcune significative eccezioni (Milano e hinterland in primis).
Affitto a canone concordato: dove conviene di più per proprietari e inquilini
Dopo oltre vent’anni dalla loro introduzione nel mondo dell’affitto, i contratti a canone concordato sono diventati la forma contrattuale preferita da locatori e conduttori nel nostro paese. Il sondaggio condotto su 61 province italiane dal network immobiliare leader nella locazione, SoloAffitti, non lascia spazio a dubbi.
Le province in cui si ricorre di più ai contratti a canone concordato
Nel 75,4% delle province analizzate (46 su 61), le agenzie specializzate nella locazione rilevano, nell’ultimo anno, una quota di contratti di affitto a canone concordato superiore alla metà del totale dei contratti di locazione gestiti.
Nello specifico, si contano addirittura 22 province (36,1% del totale di quelle analizzate) nelle quali la quota di utilizzo del canone concordato è superiore al 75% del totale delle locazioni stipulate. Oltre 3 contratti di affitto su 4, insomma, sono a canone concordato in questi territori.
Si tratta di: Novara, Genova, Lecco, Bolzano, Vicenza, Padova, Pordenone, Trieste, Ferrara, Ravenna, Grosseto, Macerata, Terni, Viterbo, Roma, Latina, Napoli, Salerno, Taranto, Reggio Calabria, Cagliari, Sassari.
Sono invece 24 le province (36,1%) in cui il ricorso al canone concordato è compreso tra il 50% e il 75% dei contratti di locazione stipulati nell’ultimo anno dalle agenzie SoloAffitti di zona.
Nello specifico sono comprese in questa fascia le province di: Torino, Biella, Imperia, Savona, Pavia, Brescia, Treviso, Piacenza, Modena, Bologna, Forlì-Cesena, Rimini, Firenze, Arezzo, Pisa, Livorno, Pesaro-Urbino, Ancona, Pescara, Barletta-Andria-Trani, Catanzaro, Catania, Ragusa, Agrigento.
Evidente che le principali città del paese (Roma, Bologna, Napoli, Torino, Firenze, Genova, Padova, Ancona, Cagliari, etc) siano le aree che fanno da traino alla diffusione delle forme contrattuali a canone concordato, pur con alcune significative eccezioni.
Dove i costi delle abitazioni in locazione sono più alti, come nelle grandi città del nostro paese, risulta più importante che la diffusione di meccanismi di calmierazione dei canoni di affitto sia ampia e generalizzata. Da un punto di vista sociale, quindi, il significativo ricorso agli accordi territoriali per il canone concordato ex L. 431/1998 rappresenta un’ottima notizia.
Le province in cui si ricorre di meno ai contratti a canone concordato
Sono invece, ormai, solo 1/4 le province nelle quali proprietari e inquilini fanno un ricorso ai contratti a canone concordato in meno del 50% delle nuove locazioni abitative.
In particolare, stanno nella fascia 25% - 50% le province di: Varese, Monza-Brianza, Verona, Parma, Siena, Chieti, Caserta, Bari.
Ricadono invece nella fascia inferiore della classifica, ovvero quella relativa alle zone in cui si ricorre ai contratti a canone concordato in meno di 1 contratto su 4, le province di: Cuneo, Milano, Como, Bergamo, Bolzano, Foggia, Lecce.
Balza subito all’occhio un dato: sono Milano e diverse delle province confinanti a risultare tra le aree del paese – assieme ad alcune zone della Puglia e altre isolate province – in cui è inferiore il ricorso al canone concordato.
Perché? La ragione è da ricercarsi in:
● accordi territoriali ancora troppo datati e con valori fuori mercato, per alcuni Comuni (sempre meno, per fortuna, dal 2017 in poi)
● valori di canone concordato poco allineati a quelli reali di mercato, per i restanti Comuni in cui l'accordo territoriale è stato di recente aggiornato.
Sono cedolare secca al 10% e aggiornamento dei valori degli accordi territoriali i fattori alla base del crescente utilizzo del canone concordato
Cosa fa la differenza tra le zone di massimo ricorso al canone concordato e le (ormai non numerosissime) zone in cui questo tipo di contratti non riesce ad attecchire?
Tra tutti, sono 2 i fattori che hanno permesso una larga diffusione dei contratti a canone concordato in una larga parte delle città del nostro paese.
Agevolazioni fiscali interessanti: dalla cedolare secca al 10% allo sconto IMU del 25%
Non c’è dubbio che una spinta propulsiva decisiva all’utilizzo delle tipologie contrattuali a canone concordato sia giunta dall’introduzione della cedolare secca, nel 2011.
La flat tax per il reddito da affitto dei contratti di locazione abitativi ha semplificato l’imposizione fiscale per i locatori e ha tolto diverse imposte “collaterali” alla tassazione sui redditi da locazione: l’imposta di bollo, l’imposta di registro in fase di prima registrazione del contratto, ma anche l’imposta di registro per i rinnovi annuali del contratto e gli altri adempimenti successivi da presentare all'Agenzia delle Entrate.
È indubbio, però, che la progressiva riduzione dell’aliquota agevolata, dal 19% del 2011 al 10% del 2014, sia stato l’elemento che ha permesso ai contratti agevolati di fare breccia nel cuore (e soprattutto nelle tasche) dei locatori del nostro paese.
Nel 2016 è inoltre stata introdotta un’ulteriore, interessante agevolazione fiscale per i contratti a canone concordato: una riduzione del 25% sull’IMU dovuta per la propria seconda casa, se affittata a canone concordato.
Più sotto analizziamo più dettagliatamente il funzionamento contrattuale e la fiscalità dei contratti a canone concordato.
In sintesi, possiamo senza dubbio notare che la crescente convenienza fiscale dei contratti a canone concordato è andata di pari passo con la loro sempre maggiore diffusione nel nostro paese. Ne avevamo di recente parlato in un articolo di Blogaffitto, in cui analizzavamo l’andamento nel tempo dell’utilizzo del canone concordato nei capoluoghi di regione italiani.
Aggiornamento e modifica degli accordi territoriali per il canone concordato
Non c’è agevolazione fiscale che tenga. Chi ha una seconda casa da mettere a reddito si aspetta una rendita adeguata.
Se gli accordi territoriali per il canone concordato non prevedono valori allineati a quelli scambiati sul libero mercato, non c'è agevolazione fiscale che tenga: per i proprietari immobiliari non potrà risultare conveniente il ricorso a forme contrattuali a canone calmierato.
Per questo il D.M. Infrastrutture e Trasportì 16 gennaio 2017 è stato un vero toccasana per il settore. Perché?
Semplice: perché ha reso conveniente il rinnovo degli accordi territoriali anche alle associazioni di categoria fino a quel momento meno attive nell'aggiornamento dei valori di canone concordato a livello locale.
In precedenza, infatti, non era previsto alcun obbligo di avvalersi delle associazioni di categoria di proprietari e inquilini per ricorrere al canone concordato (e, soprattutto, per ottenere le agevolazioni fiscali ad esso collegate). Associazioni di categoria di proprietà e inquilinato che, quindi, senza un diretto incentivo a darsi da fare per rinnovare gli accordi, talvolta lasciavano gli accordi territoriali senza un adeguato aggiornamento per anni e anni.
Per questo, fino al 2016 gli accordi territoriali venivano aggiornati a macchia di leopardo: tutto dipendeva dalla proattività dei singoli responsabili delle associazioni di categoria a livello locale.
Come dicevamo, invece, la riforma del 2017 ha reso conveniente per le associazioni di categoria procedere ad un regolare aggiornamento degli accordi territoriali (o, almeno, ha incentivato a farlo a seguito dell'introduzione della riforma).
Infatti, in tale Decreto Ministeriale si prevedeva che per gli accordi territoriali stipulati o rinnovati ai sensi del D.M. 16 gennaio 2017 stesso ci fosse l’obbligo di vidima del calcolo del canone concordato da parte di una delle associazioni di categoria firmatarie a livello comunale per poter accedere alle agevolazioni fiscali (cedolare secca al 10% e IMU ridotta del 25%).
Facile comprendere, quindi, la grande corsa di moltissime associazioni di categoria al rinnovo degli accordi in conformità con le previsioni del D.M. 16 gennaio 2017. L’obbligo di vidima ai contratti a canone concordato ha creato (implicitamente) un obbligo per i proprietari o gli inquilini di associarsi a una delle associazioni di categoria per poter beneficiare di queste vantaggiose tipologie contrattuali.
Un obbligo che, quindi, è diventato un obolo. Ecco perché anche le associazioni di categoria prima meno interessate a rinnovare accordi territoriali, datati a volte di 10 o15 anni (talvolta persino con valori di canone di affitto ancora espressi in lire…), hanno trovato immediata convenienza a procedere con il rinnovo.
Al di là di valutazioni su comportamenti opportunistici di alcuni, rimane il fatto che il massiccio rinnovo degli accordi territoriali per gran parte dei comuni ad alta tensione abitativa ha avuto il positivo effetto di permettere una capillare diffusione dei contratti 3+2, transitori e per studenti, anche dove in passato questi non riscuotevano particolare successo.
Come funzionano i contratti a canone concordato e che vantaggi fiscali garantiscono al locatore
Ma come funzionano i contratti di affitto a canone concordato?
Proponiamo di seguito una breve guida che permetta di comprenderne le tipologie, le finalità, i vantaggi fiscali per il proprietario, le modalità di calcolo e gli obblighi di asseverazione previsti.
Quali sono i contratti a canone concordato
Ricordiamo innanzitutto quali sono le forme contrattuali a canone concordato:
● i contratti a canone concordato di durata 3+2 anni, dedicati a finalità abitative generiche
● i contratti transitori, di durata inferiore a 18 mesi e utilizzabili solo in presenza di determinate condizioni di transitorietà che la Legge 431/98 tassativamente prevede
● i contratti per studenti universitari fuori sede, di durata da 6 a 36 mesi (rinnovabili di altrettanti mesi), utilizzabili solo nei confronti di conduttori iscritti a corsi di laurea o master
Quali finalità perseguono i contratti a canone concordato e quali vantaggi fiscali garantiscono
Rispetto ai contratti di locazione di durata 4+4 anni, ovvero quelli “classici” in cui – durata a parte – è possibile pattuire con ampia libertà canone di affitto e previsioni contrattuali, nelle forme contrattuali a canone concordato viene meno (quasi completamente) la libertà di definizione delle clausole contrattuali e del canone di affitto.
Sostanzialmente, guardando il contratto di affitto dal punto di vista del locatore, nei contratti a canone concordato si scambia una parte di libertà contrattuale con un vantaggio fiscale.
Certo, perché rispetto al contratto di locazione libero, di durata 4+4 anni, nelle forme contrattuali a canone concordato il locatore rinuncia alla libertà di libera pattuizione del canone di affitto, accontentandosi di un canone di locazione mensile più basso di quello disponibile sul libero mercato, in cambio di interessanti agevolazioni fiscali:
● tanto sul reddito da locazione, tassato con IRPEF o con cedolare secca: per i contratti a canone concordato si prevede l’applicazione della cedolare secca al 10% anziché al 21%, mentre se si opta per il regime IRPEF, oltre alla deduzione del 5% sempre applicabile ai contratti abitativi l’utilizzo del canone concordato permette una ulteriore deduzione del 30% del reddito imponibile. Queste agevolazioni sono disponibili per i contratti a canone sia nei comuni capoluogo di provincia che in quelli ad alta tensione abitativa (inseriti in apposita tabella ministeriale predisposta dal CIPE), che in quelli oggetto di stato di calamità naturale nell’arco temporale 2009-2014.
● quanto sulle imposte relative alla proprietà immobiliare (sostanzialmente l’IMU): si tratta di una riduzione del 25% dell’IMU, applicabile ovunque, ma spesso sono anche previste ulteriori agevolazioni IMU a livello comunale (es: aliquote IMU ridotte per immobili locati a canone concordato, rispetto alle aliquote previste per le seconde case sfitte o affittate a canone libero).
Uno scambio di libertà contrattuale e vantaggio fiscale, quello appena riassunto, che si prefigge una finalità sociale importante: garantire agli inquilini canoni di affitto calmierati rispetto a quelli disponibili sul libero mercato, ricompensando i proprietari per lo sconto sul canone concesso con agevolazioni fiscali in grado di compensare il minore reddito lordo da locazione.
Come funziona il calcolo del canone di affitto concordato
Il canone di affitto a canone concordato viene calcolato secondo uno schema analogo in tutta Italia, ma declinato a livello comunale dalle associazioni di categoria di categoria di proprietari (Confedilizia - APE, ASPPI, UPPI, Federproprietà, Confabitare, Confappi, APPC, etc) e inquilini (SUNIA, SICET, Unione Inquilini, Uniat, etc).
Le modalità di calcolo del canone concordato permettono di determinare un range di canone di locazione specifico per ciascuna abitazione, tenendo in considerazione alcuni fattori quali:
● ubicazione dell’immobile in un quartiere o zona della città di maggiore o minor valore economico
● superficie dell’immobile e degli elementi di servizio o accessori all’unità immobiliare (balconi o terrazzi, soffitta, cantina, garage, posto auto, giardino o area verde condominiale)
● presenza nell’unità immobiliare di determinati elementi e dotazioni che determinano la collocazione dell’immobile in una specifica fascia di valore economico. È così possibile affinare la valutazione in base ai “comfort” di cui l’appartamento dispone
● maggiorazioni o riduzioni dei valori di canone minimo e massimo così ottenuti al ricorrere di determinate circostanze considerate più favorevoli o sfavorevoli per il conduttore: dotazione di arredamento parziale o completo, durata contrattuale superiore a quella minima prevista per legge, categoria catastale che individua la migliore qualità dell’unità immobiliare, preavviso di disdetta ridotto rispetto a quello comunemente previsto, deposito cauzionale ridotto rispetto a quello generalmente richiesto, etc.
In questo modo, il calcolo fornirà un valore minimo e massimo di canone entro il quale proprietario e inquilino potranno pattuire il valore effettivo di canone per la locazione a canone concordato.
Se per il Comune considerato l’accordo territoriale è stato rinnovato o stipulato in conformità del D.M. 16 gennaio 2017, perché l’utilizzo di questa forma contrattuale possa determinare la concessione da parte dell’Agenzia delle Entrate delle agevolazioni fiscali è necessario che il calcolo sia verificato e vidimato da una delle associazioni di categoria firmatarie dell’accordo stesso a livello comunale.
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:
Contratto a canone concordato: come e quando funziona?
Comuni in stato di emergenza e cedolare secca al 10%: approfondiamo.