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Risparmio fiscale assicurato con la cedolare secca per l'affitto di casa. In alcuni casi, però, meglio preferire la "cara" vecchia IRPEF: vediamo quando
Detrazioni da sfruttare, contratti a uso foresteria o a uso promiscuo,soglie ISEE o per la pensione di reversibilità da non superare, o aggiornamento ISTAT da sfruttare: quando la cedolare secca non conviene

Cedolare secca: 6 casi in cui non conviene utilizzarla

La cedolare secca permette di affittare casa senza che tutto il guadagno se ne vada in tasse. Ma non sempre è la scelta più conveniente: vediamo quando

Quando si mette in affitto la propria seconda casa, ormai, non ci si pensa quasi più: la cedolare secca è entrata nelle abitudini fiscali dei locatori italiani. Ma è sempre così scontata la sua convenienza rispetto al più tradizionale assoggettamento del reddito da locazione all’IRPEF? No, non lo è. Vediamo i 6 casi in cui scegliere la cedolare secca può non essere la scelta migliore per il proprietario.

Quando non conviene scegliere la cedolare secca per l’affitto di casa?

 

Sappiamo che chi è proprietario di una abitazione e decide di metterla in affitto può avvalersi, per assoggettare il proprio reddito da locazione, del regime fiscale della cedolare secca.

Regime fiscale particolarmente conveniente, come moltissimi locatori possono testimoniare, al punto che c’è persino chi – poco esperto del settore dell’affitto – ritiene persino che esista una specifica tipologia di contratto di locazione specifico per la cedolare secca.

No: si tratta di una scelta fiscale che ciascun proprietario persona fisica può adottare per tassare il proprio reddito da affitto, versando un’imposta “piatta”, proporzionale rispetto all’ammontare annuo di canoni di locazione previsti contrattualmente.

Due aliquote possibili (21% o 10%), particolarmente vantaggiose per il locatore. Basti pensare che l’alternativa alla cedolare secca è aggiungere il reddito annuo da locazione agli altri redditi, rendendolo parte della base imponibile dell’IRPEF. Ragionando sulle aliquote IRPEF, una prima considerazione da fare è piuttosto semplice: la più bassa (23%) è in ogni caso superiore rispetto a quella più alta disponibile con la cedolare secca (21%).

Un vantaggio evidente. Ma allora quando è più conveniente preferire il regime IRPEF a quello di cedolare secca?

cedolare secca 6 casi in cui non conviene utilizzarla img

 

 Elevate detrazioni di cui avvalersi, poca IRPEF da versare: perché pagare poca cedolare, se puoi non pagare nulla di IRPEF?

Il primo e più frequente caso è quello in cui, semplicemente, scegliere come regime impositivo la cedolare secca significa pagare poco, ma si potrebbe riuscire a non pagare nulla. Come è possibile?

Chi può beneficiare di importanti detrazioni (derivanti, ad esempio, da opere di ristrutturazione o efficientamento energetico di un’abitazione) gode di un potenziale credito di imposta. Potenziale perché solo la sussistenza di un imponibile permette di poter sfruttare tali detrazioni.

Se, quindi, oltre a disporre di consistenti detrazioni il locatore si ritrova ad assoggettare all’IRPEF limitati o nulli redditi da lavoro o di altro genere, ricadrebbe in questa situazione:

versando la cedolare secca sul reddito da locazione avrebbe un onere fiscale, seppur limitato
scegliendo invece di assoggettare il reddito da locazione all’IRPEF, potrebbe non versare neanche un euro: le detrazioni andrebbero, in tutto o in parte, ad annullare il reddito imponibile, determinando una assenza di IRPEF da versare all’erario.

Quando si verifica questa condizione? Quando il contribuente ha detrazioni consistenti da far valere: ad esempio, se ha effettuato interventi di ristrutturazione o riqualificazione energetica, se gode di bonus mobili o altri bonus fiscali, se ha interessi passivi sulla prima casa da detrarre, così come di spese mediche e veterinarie non trascurabili, etc.

 

Contratto ad uso foresteria: l’inquilino è il dipendente dell’azienda che si intesta in contratto

Qualche volta è il tipo di contratto di locazione adatto alla situazione a rendere non conveniente l’opzione fiscale per la cedolare secca.

Pensiamo ad esempio a chi mette in affitto un’abitazione nelle immediate vicinanze della sede di un importante cantiere o di un’azienda di grandi dimensioni. Molte di queste imprese si fanno carico del costo dell’affitto delle proprie maestranze impegnate per dei lavori temporanei, oppure offrono come benefit ai propri manager e dirigenti un’abitazione.

Si tratta di inquilini molto referenziati e spesso disponibili a pagare canoni di affitto superiori a quelli che le famiglie possono generalmente permettersi, a parità di immobile. Inquilini, quindi, da non farsi sfuggire!

Se il contratto di locazione viene intestato all’impresa, al fine di permetterle di scaricare il costo dell’alloggio, è necessario stipulare il suddetto contratto nella forma dell’uso foresteria. Contratto con cui il locatore non potrà beneficiare della cedolare secca, dato che il conduttore non è persona fisica (almeno, secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, pur più volte smentita dai giudizi di svariate Commissioni Tributarie provinciali).

Viste le referenze e, con ogni probabilità, il canone più elevato rispetto a quello di mercato, l’occasione è comunque ghiotta per il proprietario.

 

Contratto ad uso promiscuo: l’inquilino adibisce una porzione dell’immobile affittato a studio professionale

Stretta parente della motivazione precedente è la casistica del contratto a uso promiscuo.

Sì, perché il principio è il medesimo: l’applicazione della cedolare secca, nei casi di contratto ad uso promiscuo, non è consentita perché il contratto è, lato inquilino, intestato non a persona fisica.

Ricordiamo sinteticamente cos’è la locazione a uso promiscuo. Si tratta di una tipologia contrattuale in cui, con riferimento alla medesima unità immobiliare, si ritrovano tanto l’uso abitativo quanto quello non abitativo (commerciale o professionale).

Ebbene, la possibilità di ospitare come inquilino un profilo molto referenziato, quale può essere un professionista che desidera adibire parte della propria abitazione a studio professionale, può in molti casi compensare il minore vantaggio fiscale per il locatore.

Come non apprezzare, come conduttore della propria abitazione in affitto, un medico, uno psicologo, un avvocato, un notaio, un commercialista?

 

Rischio di oltrepassare le soglie ISEE per le graduatorie dei servizi comunali e per quelle per ottenere il reddito di cittadinanza

Cambiando genere, sono altre le motivazioni che potrebbero far desistere un locatore dall’adottare la cedolare secca come regime fiscale per il proprio contratto di affitto.

Pensiamo infatti a tutte le prestazioni sociali agevolate che dipendono dall’ISEE della famiglia del locatore:
● accesso al Reddito di Cittadinanza o alla Pensione di Cittadinanza
● esenzione del ticket sanitario
● assegno di maternità e bonus bebé
● graduatoria di iscrizione all’asilo nido o bonus per potervi accedere a costo agevolato
● esenzione o riduzione delle tasse universitarie e delle tariffe dei servizi scolastici
● agevolazioni su tariffe di servizi fondamentali (trasporti urbani, conto corrente, bollette luce, gas, acqua e telefono)
e molto altro

Tutti questi benefici dipendono dal non superamento di determinate soglie ISEE. Cosa c’entra la cedolare secca?

C’entra, c’entra. Perché ricordiamo che ai fini ISEE il reddito da locazione annuo:
se assoggettato fiscalmente alla cedolare secca, deve essere considerato al 100%
se aggiunto al restante imponibile IRPEF, invece, gode di una deduzione del 5%, cui si aggiunge una ulteriore successiva deduzione del 30% qualora il contratto di locazione sia a canone concordato.

Insomma, ai fini ISEE dover dichiarare il 100% del reddito annuo da locazione o solamente il 95% (per i contratti non agevolati) o 66,5% (per i contratti agevolati) può fare una differenza notevole.

 

Rischio di oltrepassare le soglie fissate per ottenere la pensione di reversibilità per intero

Il reddito da locazione ha effetti anche ai fini del calcolo della pensione di reversibilità.

Questo tipo di prestazione previdenziale, destinato a chi era “a carico” del pensionato dante causa al momento del suo decesso, viene calcolata in proporzione alla pensione originaria. Ad esempio, alla moglie senza figli spetta di norma il 60%, che diventa l’80% in caso abbia un figlio a carico e il 100% in caso i figli a carico siano due o più; quote differenti spettano a genitori, figli o nipoti, fratelli celibi e sorelle nubili.

La somma spettante, tuttavia, subisce una riduzione, via via più significativa al crescere del reddito del beneficiario superstite. La riduzione è del 25% qualora il beneficiario abbia un reddito che supera di 3 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti (ovvero, 3 x 13 mensilità della pensione minima calcolata ogni gennaio dall’INPS); del 40% se il reddito supera di 4 volte quello derivante da pensione minima; del 50% qualora la soglia sia superata di 5 volte.

La cedolare secca come si collega a tutto questo? Semplice: dato che un reddito più o meno alto del beneficiario può determinare riduzioni dell’assegno pensionistico di reversibilità spettante, il reddito da locazione può avere un impatto anche notevole sul rischio di superare la soglia di reddito che fa scattare la riduzione.

Così come con il calcolo dell’ISEE, anche in questo caso se il reddito da affitto viene considerato in maniera diversa in base a se viene assoggettato alla cedolare secca (100%), se viene inserito nell’imponibile IRPEF e si tratta di un contratto a canone libero (95%) o a canone concordato (66,5%).

La cedolare secca, quindi, può determinare un risparmio fiscale sui redditi da affitto, ma, se contribuisce a far superare le soglie di reddito menzionate, può far letteralmente crollare l’importo del reddito da pensione di reversibilità percepito dal vedovo o, più in generale, dal beneficiario. Meglio farsi due conti in questo caso, insomma.

 

In periodi di inflazione molto elevata, per poter fare l’aggiornamento ISTAT del canone di affitto

Ultimo caso, ormai trascurabile a dire il vero, ma che vale la pena comunque menzionare.

Si tratta dell’ipotesi, ormai di scuola, in cui il vantaggio fiscale derivante dalla cedolare secca sia inferiore rispetto al maggior reddito ottenibile applicando annualmente l’aggiornamento ISTAT al canone di affitto. Possibilità, ricordiamo, data solamente al locatore che rinuncia alla cedolare secca e assoggetta il proprio reddito da locazione alla fiscalità ordinaria (IRPEF).

Per quale ragione diciamo che si tratta di un caso ormai più ipotetico che altro?

Perché il vantaggio fiscale della cedolare secca è consistente. Ora che l’Italia beneficia dei livelli di inflazione bassi (a volte persino negativi) garantiti dall’adesione alla moneta unica, difficile che l’inflazione arrivi a livelli tali da rendere più “pesante” la rivalutazione del canone di affitto in ragione dell’indice FOI (Famiglie Operai Impiegati) dell’ISTAT.

Avevamo già discusso in un altro articolo di questo blog il perché, ormai, non è più conveniente l’aggiornamento ISTAT del canone di locazione. Tra le motivazioni principali c’è proprio il combinato disposto dato da: tasso di inflazione troppo basso e, al contempo, impossibilità di applicare la cedolare secca.

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